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1/2 Pagnotta del luogo e del tempo
Ogni ristoratore deve trovare l’identità del posto in cui lavora. Così si può essere autentici.
Ci sono luoghi che le parole possono solo suggerire, e che andrebbero visitati, anzi “vissuti”, per capirne l’essenza: uno di questi è Mezza Pagnotta, a Ruvo di Puglia. Quest’osteria è la scelta di vita di due fratelli, Francesco e Vincenzo Montaruli, che intervistiamo con grande piacere. L’atmosfera, come i sapori (che sono le parole chiave di questa rubrica) sono quelli del mondo contadino, genuino, lento, allegro e rispettoso.
Francesco, quali sono le vostre origini?
«Siamo figli di contadini, Vincenzo è lo chef, autodidatta, io mi occupo della sala».
Capiamo subito che l’insegnante di questi due fratelli è l’esperienza della terra, ma attenzione, Mezza Pagnotta riserva grande creatività: partendo da ciò che il raccolto offre di giorno in giorno, non esaurisce i suoi sapori nelle ricette classiche pugliesi, piuttosto va oltre con molta inventiva.
Da dove provengono le materie prime portate in tavola?
«Qui tutto è autoprodotto da terreni di nostra proprietà, ma non solo da ciò che è coltivato; prestiamo tantissima attenzione anche alle erbe spontanee che raccogliamo e portiamo nel menu del giorno. Siamo conoscitori attenti di quello che la natura dona. Ad esempio, appena usciti dall’estate raccogliamo le erbe spontanee, spuntate dopo le prime piogge, come il cardo spinoso. Raccogliamo dagli alberi i fichi autunnali, i percochi, raccogliamo i fichi d’india. Nei piatti portiamo spesso la frutta come ingrediente».
Come ci racconteresti la nascita di Mezza Pagnotta?
«Mezza Pagnotta è un’osteria che nasce dal dialogo fra la terra e l’uomo; non è stato facile iniziare, la scelta è stata molto coraggiosa nel 2013; abbiamo portato un modo diverso di fare cucina, partendo dal territorio e da quello che davvero è tipico di questi luoghi, e con un grande rispetto verso un terreno che non vogliamo sfruttare. Noi prendiamo quello che giornalmente riusciamo a raccogliere, e se qualcosa non c’è, non la portiamo forzatamente in cucina. In base a quello che abbiamo offriamo i piatti del giorno. All’epoca non è stato semplice far capire che la nostra cucina vegetale è una cucina salutare, legata al luogo e al tempo, dunque autentica e salutare».
Oggi avete una clientela affezionata e clienti che vengono da altri paesi per scoprirvi. C’è stato un momento in cui avete avvertito un punto di svolta?
«Abbiamo iniziato senza aspirare al successo, la visibilità dell’osteria è stata naturale; tuttavia c’è stato un momento in cui la filosofia abbracciata è stata meglio compresa, credo per una svolta epocale in cui il cliente è diventato molto consapevole di quello che ordina, mangia, gusta».Il fatto che sia più diffuso l’approccio vegetariano secondo lei ha influito?
«Non è questo, anche perché noi ospitiamo tutti, la maggioranza è onnivora; molto più semplicemente chi va in un’osteria oggi, e in generale chi spende per mangiare fuori casa, non desidera più un piatto con prodotti congelati, comprende che il prodotto fresco del posto e di stagione è più genuino e saporito. Oggigiorno si abbraccia l’idea che il cibo è salute, territorio».
Mezza Pagnotta ha anticipato i tempi, proponendo sempre, senza compromessi, un mondo contadino diverso dal mondo agricolo intensivo. Nella sala ispirata alle case murgiane, il tempo è solo apparentemente un viaggio retrò, perché i piatti di Vincenzo sono sia una riscoperta di prodotti che non si consumano più, ma anche una ricerca culinaria che guarda al futuro con creatività.
Cosa si sentirebbe di dire ai suoi colleghi ristoratori?
«Mi sento di dire che ogni ristoratore deve trovare l’identità del posto in cui lavora e vive. Così si può essere autentici, studiare e rispettare il territorio, raccontarlo e spiegarlo; infine, suggerisco di lavorare sul giorno, non di accumulare in congelatore provviste su provviste».
Riassumendo, amici lettori, date ai clienti, quotidianamente, quello che di meglio il territorio ha dato a voi in quell’istante, e portatelo in tavola come un dono prezioso.
Articolo tratto da Pizza&core Colletion n 113
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