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Per poterlo giudicare con obiettività bisognerà visitarlo, ma è già polemica aspra sul Museo della pizza che aprirà a New York ad ottobre 2018. Il Museo ospiterà per due settimane installazioni dedicate alla pietanza nata in Italia e che, con trasformazioni varie, ha spopolato ovunque. La società di comunicazione di Brooklyn, Nameless Network, ha annunciato che lancerà il museo pop-up `MoPi` dal 13 al 28 ottobre (ma non è detto che il periodo non venga esteso). Come si legge sul Wall Street Journal il museo vorrebbe “offrire ai visitatori una storia della pietanza che spopola nella Grande Mela, oltre a celebrare il ruolo della pizza nella cultura pop attraverso l`arte ed elementi interattivi. Come una grotta di formaggio in silicone e una pizza beach, dove i visitatori sperimenteranno "un`enorme ondata di formaggio".
Il museo è stato mal accolto da molti napoletani e anche da una parte della stampa italiana.
A ben guardare più che un museo, stando alle informazioni diffuse, questo parrebbe più una mostra di arte pop, in cui viene enfatizzato il lato contemporaneo dell’immaginario legato alla pizza. Di storico, originale o comunque aderente alla cultura delle origini, sembrerebbe esserci davvero poco, almeno da quanto per ora diffuso. D’altra parte la parola museo, in Italia, richiama un luogo solitamente diverso da quello che viene proposto nello stesso sito web del Mumeum of Pizza: “the world`s first and only immersive art experience celebrating pizza”. Un’esperienza immersiva nell’arte della pizza, per celebrarla. Insomma, a noi il problema è chiaro: questo nome “Museo della Pizza” non lo digeriamo perché ci sentiamo derubati di un compito che sarebbe toccato a noi. Inoltre, abbiamo un’idea diversa della parola “museo”, che per noi dovrebbe essere una “raccolta di opere d’arte, o di oggetti aventi interesse storico-scientifico, etno-antropologico e culturale” (Treccani). Tuttavia, termine a parte, se abbiamo chiaro che si tratta di un progetto più sull’arte pop, la ferita nel nostro orgoglio italico farà meno male.
Vogliamo interrogarci, però, sull’utilità educative e creative di queste “performance” chiudendo con un commento di Matteo Zampollo su www.rollingstone.it il quale sull’apertura di questo museo scrive senza mezze misure: “Diciamocelo chiaramente: è una piccola disgrazia. Per alcuni motivi. Il primo motivo è strettamente artistico: il successo dei musei “selfie” è sotto gli occhi di tutti, ma forse stiamo andando un po’ troppo in là. Ovvero, ok Yayoi Kusama, ok Murakami, Höller, Hirst e tutti gli altri che badano tanto alla forma quanto alla sostanza e riescono a strizzare l’occhio a un pubblico molto più Instagram addicted di una volta (a braccetto con curatori illuminati che offrono spazi e allestimenti da Oscar) senza sacrificare il contenuto delle opere. Ma chiamare museo un’accozzaglia di location e di angoli perfetti per gli hashtag ma senza alcun contenuto “culturale” sembra una forzatura del termine. È l’erede di quello del gelato, aperto sempre a New York. Ecco, se l’inventiva dei cretivi di questi contenitori senza contenuto fosse messo a servizio di qualcosa con più sostanza, sarebbe meglio per tutti (…).”
https://www.themuseumofpizza.org/
07/05/2018
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