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Abbiamo intervistato Marco D’Annibale, titolare dell’azienda Gi.Metal, leader per la produzione di pale e attrezzature per pizzeria, punto di riferimento per i professionisti in Italia e all’estero.
Nello studio dei vostri prodotti quanto è importante l’ascolto del pizzaiolo?
«Fondamentale direi, i prodotti Gi.Metal sono nati proprio ascoltando i pizzaioli e le loro necessità, e capendo di cosa hanno bisogno possiamo affinare i nostri strumenti professionali per pizzeria.
Pensi che abbiamo quasi 600 referenze in catalogo. In particolare poi il pizzaiolo italiano è esigente, e ha una doppia natura: è artigiano ed essendo imprenditore di se stesso è un uomo sempre “con le mani in pasta”. Questo lo porta ad essere per primo lui stesso a comunicare all’azienda le proprie esigenze. Devo dire che dai suoi albori abbiamo improntato l’azienda proprio sul dialogo continuo con la categoria».
Lei gira molto per il mondo, quanto l’identità della pizza italiana è mantenuta nelle altre nazioni? Il Paese più attento alla tradizione nostrana qual è?
«Sappiamo che la pizza è su tutti i mercati mondiali e ognuno la fa secondo procedure che si sono stabilizzate negli anni secondo i gusti dei Paesi, ma personalmente nei miei viaggi ho notato un rafforzamento dell’Italianità della pizza, in particolare della tradizione napoletana. Le origini napoletane sono molto sentite all’estero, questo grazie anche alla spinta delle associazioni, molto efficienti e determinate, con una grande capacità di raccontarsi e raccontare la storia e l’artigianalità del prodotto. In dieci anni, per esempio, negli Usa la napoletanità della pizza è cresciuta moltissimo».
Esportare il know how, la cultura del prodotto pizza ha poi concrete ricadute positive per le aziende italiane?
«Esportando le procedure per far pizza come la si fa in Italia non si fa altro che creare le basi affinché i pizzaioli che imparano il nostro modo di far pizza cerchino poi tutti i mezzi per ottenere quella particolare pizza.
Dunque, si crea il mercato per le aziende italiane depositarie di quelle conoscenze per creare prodotti nel mondo pizza, conoscenze che le rendono competitive sui mercati esteri.
Il tandem fra le associazioni di categoria e le aziende risulta fondamentale per formare le nuove leve sui mercati internazionali».
La sua azienda s’è affacciata all’estero prima di molte altre e prima della crisi economica che ha portato molti imprenditori a cercare nuovi mercati. Perché questa innata vocazione all’internazionalità?
«Primo perché la pizza è in tutto il mondo, e l’intuito mi ha detto di pensare all’estero da subito, già dagli anni ‘90. Ma soprattutto perché a me piace personalmente viaggiare e ho trovato facile e naturale per me parlare con il cliente italiano come con quello di un altro Paese. Credo che questo sia stato fondamentale nella vocazione internazionale di Gi.Metal, vocazione che io cerco anche nel mio commerciale».
Che consiglio darebbe a chi vuole fare export?
«Studiare il mercato e capire se è ricettivo al prodotto e magari affacciarsi con pochi campioni mirati. Investire e non credere di avere ritorni subito, con una semplice prima fiera all’estero. Cercare il contatto con il cliente e perseverare finché in qualche anno non si raggiungono i primi risultati. Collaborare con altre aziende è poi fondamentale, ci si confronta e non si è soli in un mercato poco conosciuto. Inoltre collaborando con aziende complementari si può dare un’offerta completa e ogni singola azienda ha poi il proprio spazio commerciale».
Gi.Metal ha delle controllate negli USA e in Brasile per distribuire i propri prodotti. Dunque lei conosce bene questo grande Paese in cui sono esorbitanti i numeri di consumo di pizza. Le chiediamo: com’è la pizza in Brasile?
«Beh, distante dalla nostra, ma la consapevolezza sui processi dell’impasto (al di là delle farciture che sono un gusto personale) sta crescendo e credo crescerà come è successo negli USA».
E sulla consapevolezza dei pizzaioli italiani cosa ci dice?
«Molti ancora fanno pizza perché così l’hanno imparata, ma lo studio e le conoscenze sui processi di impasto sono molto cresciuti. La qualità di conseguenza migliora. Posso dire che i pizzaioli italiani oggi fanno mediamente un buon prodotto e soprattutto lo sanno spiegare e raccontare perché la formazione dà i suoi buoni frutti».
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