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Faccia a faccia con Antimo Caputo
Il mondo pizza visto dall’imprenditore di settore: è con questo spirito che abbiamo raccolto le parole di Antimo Caputo, titolare dell’azienda Molino Caputo, oggi guidata dagli eredi di Carmine, l’uomo che, nel 1924, di ritorno dagli Stati Uniti, fondò un Molino ed un Pastificio a Capua, la base dell’attuale società. Dopo la sua morte le redini della piccola azienda passarono nelle mani del figlio che nel 1939 acquistò il Molino di San Giovanni a Teduccio, sede dell’attuale impianto di produzione dell’azienda. La voce “degli uomini delle aziende” ci apre una finestra diversa, uno sguardo ulteriore sul comparto e ci regala la storia di uomini che hanno fatto del proprio lavoro un tassello indispensabile alla crescita dell’intero settore.
Antimo Caputo, di sicuro, è un personaggio esemplare in questo senso: è stato presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Napoli, s’è attivato molto non solo per la sua azienda, ma per tutto il settore e molto s’è prodigato anche per la compattazione dei pizzaioli stessi e sul valore del loro lavoro attraverso la collaborazione con le associazioni. Attraverso la sponsorizzazione di moltissimi eventi pizza, dalla gara alla cena gourmet, Antimo, con la sua azienda, ha dato un valore aggiunto alla pizza napoletana, in Italia e nel mondo.
Non a caso, molti (anche nelle fila della concorrenza), parlando di lui, usano parole di grande stima. Una personalità carismatica, una persona seria e volitiva, conosciutissima all’estero, da Tokio a New York, mercati che ha presidiato con la sua farina studiata appositamente per la pizza napoletana. In quasi un secolo di lavoro, Antimo, e tutta la famiglia Caputo hanno reso la pizza napoletana ancora più celebre nel pianeta.
Lei è stato per diversi anni presidente dei giovani industriali della provincia di Napoli, un osservatorio privilegiato per valutare al meglio il comparto agroalimentare nel nostro Sud e della Campania (Terra Felix) in particolare. Cosa manca all’industria agroalimentare del nostro Sud per prendersi il posto che gli spetta nel panorama mondiale?
«È indubbio che le regioni del Sud Italia possano vantare produzioni di assoluta eccellenza, però manca una visione d’insieme, una strategia comune per affrontare i mercati. E poi al Sud si paga ancora lo scotto di logiche sbagliate e di valutazioni fuorvianti, situazioni negative che con l’avvento della crisi si sono maggiormente acuite».
Come se ne esce?
«Facendo sistema: al Nord in questo sono stati bravi. Lavorare in rete facendo emergere le assolute eccellenze che esprimono le diverse regioni meridionali. Sottrarci al cosiddetto “Napoli Centrismo” che nel bene e nel male condiziona la visione che il mondo e i mercati hanno del nostro Sud. Il Sud non è solo Napoli, che resta comunque la capitale culturale, e lo dico con profondo amore e rispetto per la mia città che con le sue affascinanti contraddizioni è un mondo a sé».
La politica in questo cosa può fare?
«La politica, quella buona, può fare tanto. Anzitutto evitare le scelte errate del passato poi snellire la burocrazia, semplificare, facilitare l’accesso al credito ed entrare nella convinzione che il Sud Italia con la sua storia, il suo patrimonio agroalimentare e i suoi tanti giovani è una grande, irrinunciabile opportunità per l’intera nazione».
Bene veniamo al nostro mondo: tuteliamo abbastanza la pizza artigianale?
«Relativamente alla pizza artigianale che a me piace chiamare pizza classica o pizza buona, c’è una ritrovata consapevolezza da parte degli addetti ai lavori. Da ciò è scaturito un grandissimo movimento di categoria, mi riferisco ai pizzaioli che sempre più dialogano con i consumatori, promuovono il loro lavoro, spiegano le particolari valenze di una pizza artigianale, insomma fanno cultura. Manca sempre quella visione d’insieme di cui parlavo prima, si potrà pertanto fare di più, “sfruttare” ad esempio al meglio quel prezioso riconoscimento che si chiama STG, ma il percorso intrapreso mi rende fiducioso».
In giro per il mondo la pizza è fatta un po’ seguendo usi e gusti locali, anche con canoni molto diversi da quelli italiani (e napoletani). È così che deve andare?
«Non c’è dubbio che il posizionamento della nostra pizza, sullo scenario mondiale, è nel contesto artigianale. È questa la nostra storia, è questa la nostra forza: se le nostre produzioni resteranno in quest’ambito, se opereremo sempre con i crismi della qualità e della cultura del prodotto non potremo che essere sempre i numeri uno».
Ma in questo modo i grandi numeri, il business se lo prendono gli altri?
«Guardi io ritengo che anche nel contesto artigianale ci sia un grande e remunerativo lavoro da fare. In giro per il mondo la pizza italiana con il suo bagaglio di artigianalità, storia e cultura è estremamente apprezzata. Sta a noi, aziende di produzione, operatori e pizzaioli, staccarci dal solito campanile e lavorare di concerto per cogliere le occasioni che ne derivano.
La pizza precotta, stampata come un disco volante, farcita con l’impossibile lasciamola ai business man, noi pensiamo a difendere i nostri valori».
La vicenda STG è servita per il percorso di tutela, oppure ha creato solo confusione?
«Nessuna confusione, anzi. La STG è stata una grande conquista, ha finalmente stabilito con il suo disciplinare cosa significa pizza artigianale nella sua originaria intuizione napoletana. E’ per questo motivo rappresenta una pietra miliare nella storia tricentenaria del nostro piatto. Certo per attuarla il percorso è stato abbastanza complesso, a volte artificioso e il riconoscimento, nel suo insieme, è stato frutto di compromessi che lo ha in parte indebolito, ma resta comunque la valenza sia tecnica che culturale».
Ma dal punto di vista pratico, quali risultati concreti porterà?
«Guardi, chi cerca risultati, guadagni, chi vuole ricondurre la STG a un business compie un errore.
Ho sempre considerato la STG un puro gesto d’amore verso la pizza napoletana. Sarò un sentimentalista ma ritengo che il riconoscimento comunitario, più un punto di arrivo, sia un punto di partenza per continuare a valorizzare il prodotto nella sua più genuina artigianalità, è questa la sua missione. Specialmente noi napoletani abbiamo il dovere si perpetrare questa missione, e farlo con sentimento e disinteresse».
Parlando di pizzaioli napoletani, quanto sono consapevoli e quanto riescono a valorizzare questo immenso patrimonio?
«Ritengo che negli ultimi anni abbiamo fatto un percorso straordinario, hanno compreso e dato il valore al proprio lavoro. In questa primavera grande merito va alle giovani leve che si sono affacciate e anche con le loro capacità mediatiche sono riuscite a catalizzare attenzione e quindi promuovere la categoria e l’indotto che ne deriva.
Il lavoro è stato virtuoso, manca ancora però quella capacità di aggregazione, nel senso che alcune stelle brillano tanto, altre brillano meno, bisogna che brillino tutte insieme, solo così la volta celeste potrà offrire uno spettacolo irripetibile».
Va bene, pizzaioli come stelle, ci sta… ma qual è a suo avviso il peggior difetto di un pizzaiolo?
«Non volersi confrontare, essere reticenti al dialogo, chiusi un po’ su se stessi. L’individualismo esasperato a volte è un limite della categoria».
Campionati, concorsi: sono utili?
«Assolutamente sì se li vediamo come momenti di incontro e appunto confronto e non solo come una passerella dove i modelli avanzano gaurdando solo nella loro direzione».
Pizza Gourmet, pizza dessert, pizze alternative: cosa ne pensa Antimo Caputo?
«Per me non esistono pizza gourmet, dessert o altro, queste definizioni le lascio agli altri. Per me esiste solo una pizza buona e una pizza non buona, così come esiste la capacità, la creatività, la maestria del pizzaiolo di rendere la pizza, al di la delle sue denominazioni un piatto unico e irripetibile».
Dove ha mangiato la miglior pizza della sua vita?
«Ovunque c’era un bravo pizzaiuolo con buoni ingredienti».
Dove ha mangiato la peggior pizza della sua vita?
«Forse qualche volta mi sarà capitato di trovarmele davanti, ma le ho dimenticate, rimosse.
In fondo è così: se ami qualcosa in modo viscerale, se è parte della tua vita, l’istinto ti porta sempre a conservarne i ricordi più belli, le emozioni più vere. E per me la pizza e il mondo che rappresenta è un fatto di sentimenti. E allora per la pizza, solo cose belle. È questo il mio pensiero e il mio auspicio».
03/10/2014
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