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In tempo si diceva “Parla come mangi” oppure “Siamo quello che mangiamo”, oggi pare che questi detti (o se volete luoghi comuni) non valgono più se è vero, secondo quando ha asserito la Coldiretti in una sua recente denunzia, che in Italia la maggior parte delle pizze viene sfornata con materie prime e prodotti che la lingua italiana non la conoscono per nulla.
Cina e altri paesi dell’estremo oriente, Nazioni Sudamericane e Paesi dell’Est: da ogni parte del globo giungono in Italia tonnellate e tonnellate di derrate alimentari. Ma scusate, che fine anno fatto le nostre origini contadini, l’antico sapere agreste che ha sfamato nei millenni l’italico popolo?
Tutto perso, svanito dietro la rincorsa del prodotto a più buon mercato, quello che non costa niente, per risparmiare, per lucrare e in ultima analisi per ammazzare una cultura del buon cibo che è e resta il nostro maggior patrimonio. In altri termini non mangiare italiano, in un paese che ha i migliori prodotti del mondo è una sorta di paradossale harakiri.
È chiaro che in un mondo globalizzato non possiamo aspettarci che tutto venga dall’orto vicino casa, o dalla terra della nostra regione di residenza, e persino sarebbe ingenuo pensare che tutto possa provenire dall’Italia. In taluni casi l’importazione è una realtà “storica” come ad esempio le farine il cui grano è mixato da immemorabile tempo con grani di altri paesi, fra tutti ricordiamo, giusto per fare un esempio, la Manitoba.
In molti casi però l’uso di prodotti esteri non è storica, né viene giustificata da un criterio di qualità.
Di chi è la colpa di tutto questo disastro?
I soliti disfattisti e benpensanti hanno subito (e ti pare!) buttato la croce addosso a pizzaioli e ristoratori.
Sono loro i colpevoli, rei di risparmiare sulle materie prime pur di lucrare qualche euro in più.
Si, forse qualche ristoratore avrà pure qualche colpicina. Ci sarà pure qualche furbetto che comprando a un euro un barattolo di pelati made in Cina penserà di aver fatto un affare: tanto poi chissenefrega se al cliente prende il mal di stomaco con sopraggiunti attacchi di diarrea. Ma se è vero, come pare sia vero, che la denuncia della Coldiretti parla di 2 pizze su 3 con ingredienti stranieri, allora probabilmente è tutto il sistema che non funziona. A cominciare dalla nostra politica che non tutela come dovrebbe le produzioni italiane e si mette il prosciutto sugli occhi quando deve andare nelle sedi istituzionali a difendere le posizioni della nostra agricoltura. Per non parlare poi della filiera distributiva che ha sicuramente delle grosse responsabilità. Ad esempio alle frontiere (ma quali frontiere) dove siano i dovuti controlli di qualità per stoppare quei prodotti il cui puzzo di sente sin dalla stiva nella nave che li ha condotti nel Bel Paese? E poi perché non si ha il coraggio di mettere qualche giusto dazio su produzioni estere che neanche gli animali mangerebbero? Senza contare che la maggior parte del lucro va a finire nelle tasca di holding commerciali magari su conti esteri senza pagare manco le tasse in loco.
A farne le spese come al solito sono i consumatori costretti a nutrirsi di qualcosa che neanche loro sanno minimamente da quale parte del mondo proviene.
Come risolviamo questo disastro?
Ai consumatori diciamo occhi aperti: leggere bene le etichette, chiedere spiegazioni, informarsi, il rapporto cibo salute è molto stretto, e spesso qualche euro risparmiato vale molto più di un mal di pancia.
Ai ristoratori il consiglio è d’obbligo: diffidate delle imitazioni. La qualità è la sola strada per il futuro e paga sempre, non vale la pena economizzare sulle materie prime, la soddisfazione del cliente è la cosa più importante, il bene primario.
Dovremmo fare delle raccomandazioni anche ai commercianti e ai politicanti? Preferiamo di no, le accuse sarebbero da sicura querela, preferiamo a malincuore, tacere. Chiudiamo questa provocazione con le parole del presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo ricorda, infatti, che «la produzione nazionale degli ingredienti e la sua lavorazione esclusivamente in Italia consente di salvare dall’abbandono interi territori situati in aree difficili nel sud del Paese, ma anche di garantire occupazione e reddito ad agricoltori e lavoratori in un momento di crisi».
Cibi fasulli non solo in Patria.
Se gli italiani mangiano sempre più cibi stranieri, illudendosi di risparmiare, all’estero si mangia molto cibo italiano contraffatto, pensando sia vero made in Italy.
Ecco un altro paradosso che procura un danno incalcolabile (al pari dell’invasione che si subisce in Italia) a tutto il movimento e patrimonio enogastronomico del nostro paese.
I numeri sono da paura. Cibi e vini italiani contraffatti sono, a volte uno sporco affare da 60 miliardi di euro In giro per il mondo per un prodotto vero made in Italy ce ne sono almeno 4, che sono falso made in Italy.
Anche in questo caso politica e istituzioni concludono un bel niente, e spesso tali produzioni sono nelle mani di gente di malaffare.
Per falso cibo italiano si intendono quegli alimenti che, prodotti e venduti all’estero, vengono spacciati per alimenti tipici italiani.
Si tratta di prodotti industriali che solitamente utilizzano nomi o immagini che richiamano l’Italia e che mettono sempre bene in evidenza sulle confezioni la nostra bandiera, proprio allo scopo di trarre in inganno il consumatore. Non mancano riferimenti ingannevoli ad aree geografiche italiane. Gli alimenti più contraffatti sono i formaggi, come il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il Romano, l’Asiago, la Fontina ed il Gorgonzola. Ma anche tra i salumi la lista è lunga: pancetta, coppa, prosciutto Busseto, salami Toscano, Milano, soppressata calabrese sono tra le vittime delle imitazioni.
Insomma, per concludere, i prodotti italiani sono i più imitati al mondo.
Siamo praticamente campioni del mondo, nostro malgrado però.
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