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Secondo Peter Thorpe
Apriamo una nuova rubrica per esplorare il mondo della ristorazione e della pizzeria in altre parti del mondo, attraverso il punto di vista di professionisti del settore. Iniziamo il nostro viaggio con Peter Thorpe.
Peter lavora da quasi trent’anni nella ristorazione, e oggi è chef su uno yacht di gran lusso chiamato Pelorus. Ha lavorato in un ristorante di cucina italiana in Florida per dodici anni, il Blue Heron, di fronte al mare. Peter è venuto in Italia per imparare a far pizza seguendo i consigli del noto maestro Coccia.
Lo intervistiamo per domandargli com’è il mercato della ristorazione negli Stati Uniti.
In Italia, tu lo sai, il cibo è vissuto come un rito importante, ogni italiano è un po’ cuoco e noi italiani saremmo capaci di discutere ore e ore su come si prepara un piatto. Invece dalle tue parti cosa rappresenta il cibo?
«Cucino da circa 28 anni e penso che la principale differenza tra l’Italia e l’America sia che in quest’ultima non abbiamo una vera cucina tradizionale come in Italia in cui a seconda del posto da cui provieni ci sono diversi piatti tradizionali, insomma dipende dalla geografia di origine. Gli USA sono un crogiolo di culture diverse, perfino gli italiani che vivono negli Stati Uniti cucinano in maniera differente fra loro, ovviamente la presenza di alcuni ingredienti è un fattore di cui tenere conto».
Che differenze ci sono secondo te fra la ristorazione del tuo Paese e quella italiana?
«Per quanto riguarda il gestire un ristorante negli USA, abbiamo ancora gli stessi problemi che potreste incontrate voi in Italia, cioè il costo delle materie prime, trovare bravi dipendenti, ecc. In una sola cosa siamo forse diversi, penso: in Italia la maggior parte della gente va fuori a cena e impiega ore nella scelta, ridendo, chiacchierando, incontrandosi con familiari e amici. Il turn over (il ricambio) ai tavoli è senz’altro minore che negli Stati Uniti. Negli USA abbiamo molti grandi ristoranti dove si va a passare ore di intrattenimento, ma molti di più in cui si va semplicemente per cenare. Qui lo stile di vita è molto diverso, si va di corsa, così la gente sceglie posti in cui mangiare velocemente e tornare di corsa al lavoro; molti americani cercano un posto dove il servizio sia veloce, contenuto nel prezzo e vicino al posto di lavoro. Negli USA molti negozi o uffici non chiudono per ora di pranzo quindi molta gente mangia al volo sul percorso oppure si porta uno spuntino da casa. Sarebbe una cosa strana per un supermercato, o banca o negozio chiudere per un paio d’ore a pranzo».
Quale tipo di cucina va per la maggiore?
«In America quando ci incontriamo con gli amici per andare fuori a pranzo o a cena la prima domanda è: cosa preferite oggi? Cucina italiana, francese, americana, messicana, cinese, giapponese, alette, hamburger, barbecue, coreana, greca? Abbiamo così tante ottime scelte tradizionali. Non dico che i piatti riproducano fedelmente l’originale dei loro rispettivi paesi, poiché bisogna adattarsi con gli ingredienti disponibili. Penso che ci sia tanta varietà e che essa sia un’ottima cosa, non penso che una cucina sia meglio di un’altra, se fatta bene».
Che suggerimenti darebbe ad un ristoratore italiano che volesse sperimentare la professione di ristoratore nel tuo Paese?
«Io non ho mai pensato di aprire un ristorante a Napoli, sfortunatamente non conosco la lingua, il che non è un problema trascurabile. Lo stesso vale per un italiano che vuole aprirne uno negli USA, le cose vanno fatte bene! Oltre a conoscere la lingua penso che le cose fondamentali siano: fare ottimo cibo, ottimo servizio, essere coerenti. E di sicuro si avrà successo. Attualmente da noi è ottima la pizza napoletana, non buona come quella di Enzo, ma non male. Purtroppo però non possiamo trovare qui da noi i fantastici ingredienti che trovate voi in Italia!»
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