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Parliamo di formazione e aggiornamento professionale con Tiziano Casillo, pizzaiolo, tecnico dell’azienda Italmill e formatore; un esperto molto stimato in tutto il mondo dell’arte bianca.
Tiziano, per iniziare: cosa è la pizza per te in 4 parole.
«Calore. Dal calore del forno e della pizza, al calore conviviale. Passione. Perché in questo mestiere ci vuole. Mondo. Perché credo che non ci sia altra cosa che in tutto il mondo si dica con la stessa parola. Pizza è pizza ovunque. Vita. Perché è la mia vita da sempre. Ho iniziato ad approcciarmi alla pizza già dai 12 anni».
Prima provocazione: i pizzaioli “vecchia leva” sono meno bravi di chi oggi partecipa ai corsi?
«La vecchia guardia ha la sua esperienza, ma spesso vive di convinzioni.
Chi frequenta i corsi potrebbe avere meno esperienza, ma acquisisce più conoscenza. Il punto che sottolineo è che io come tecnico ho l’obbiettivo e il dovere di formare, e di fronte a chi ha esperienza, ma sbaglia, lo dico. Perché la tecnica è tecnica, il pizzaiolo deve mettere il suo solo dopo aver imparato la tecnica. Non esiste “l’ingrediente segreto”, esiste solo il metodo che si apprende con lo studio (dell’impasto, delle materie prime e dei bilanciamento dei topping)».
Perché un pizzaiolo deve continuare ad aggiornarsi?
«Il mondo s’è evoluto. La pizza ai miei tempi era festa, c’era l’effetto sorpresa. Oggi mangiamo pizza ogni giorno. Il cliente è informato, esigente, sa scegliere.
Non basta che la pizza sia buona, deve essere digeribile, fare bene. Ci sono tante pizze, bassa, alta, alla napoletana, alla romana. Non è questo il punto. Il punto è che la farina è farina e si parte da lì. E in tutte le tipologie di pizza occorre il metodo. Vedi, i cugini pasticceri se non seguono il metodo non ottengono il risultato. E quindi sono più tecnici. La pizza alla fine esce, ma poi bisogna vedere che pizza è. Dobbiamo prendere spunto dai cugini pasticceri».
Ma i work shop e le scuole di formazione rendono bravi o informati?
«Informati. Se non sai applicare il metodo e non ci metti impegno, se non hai voglia non diventi bravo!»
Come sono i pizzaioli italiani? Modesti, capaci di mettersi in gioco?
«Mi ci metto in mezzo e dico: non c’è pizzaiolo che dice che la sua pizza non sia la migliore. Molti pizzaioli non si rendono conto che devono mettersi più in gioco con la formazione. Ora c’è più movimento, ma a veder bene sono quasi sempre gli stessi a mettersi in gioco. C’è poi, invece, tanta parte d’Italia che rimane bloccata, lavora nella pizzeria, ma non si forma adeguatamente».
Gli stranieri, invece?
«Non hanno preconcetti e imparano il metodo. E hanno grande voglia di lavorare. Ho mangiato pizze ottime anche fuori dall’Italia, perché abbiamo esportato la nostra cultura. E loro applicano le tecniche. Non lamentiamoci poi se la pizza perderà il primato italiano».
Un episodio che ti è rimasto impresso nella tua esperienza?
«Il mio maestro, con cui ho iniziato prima di studiare con Italmill (la quale mi ha affiancato tecnici e professori universitari, in laboratorio) non mi parla più da anni. Perché non crede nella formazione. Lui mi ha lasciato la manualità e la passione. Ma io dico, non basta e dico ai colleghi: studiamo di più, solo così tuteleremo il prodotto, faremo una pizza che fa bene e innalzeremo la nostra professione».
28/10/2013
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