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Vi sono alcune persone che ancora oggi ritengono che pizza e birra non sia un binomio che si sposa bene. A costoro la risposta da dare è una sola, e precisamente un nome: Antonio Maiorano, in arte Nino. La sua testimonianza, vissuta sul campo da ormai tre lustri, può tranquillizzare anche i benpensanti, leggi “fondamentalisti della birra”. Nino lo è: la sua passione per la pizza è antica. Quella per la birra è solo relativamente più recente. Ma forse più bruciante. La birra per Nino non è una bevanda, non è un alimento. È un antiflogistico, una panacea per tutti i mali di noi morituri sublunari. Anche la sua birra preferita, l’acetico e piatto Lambic, sotto il suo palato diventa effervescente come una weizen.
Lo Sherwood Music Pub lancia i suoi primi vagiti nell’ottobre del 1996 in un paesino romito e anonimo della provincia di Pavia, Nicorvo. A quel tempo Nino era pizzaiolo convinto, anche se fin d’allora covava una diuretica passione per la birra, nel senso che c’era tanta voglia di sentirla ruscellare giù per la gola ma il desiderio di conoscere la sua millenaria cultura era ancora un po’ indistinto, allo stato embrionale insomma.
Nel locale la gente ci andava per gustare le sue pizze, che riflettevano i suoi studi artistici, e per ascoltarlo vaneggiare di birre mai sentite che un giorno sarebbero giunte anche a Nicorvo. Pizze artistiche per i tocchi di pennello che Nino esibiva nella loro presentazione ma anche per quelli che aveva dato affrescando personalmente il suo classico locale country, tanto mattone e tanto legno. Costruito insieme con il padre. Artista progettista e muratore, pizzaiolo e decoratore delle sue creature cerealcroccanti. Come soggetto non ci va leggero: ha scelto il fiammingo Bruegel (poteva essere altrimenti?), un’artista che con la birra aveva un rapporto decisamente privilegiato. Proprio come lui, l’artista padano che ha origini àpule.
A sentirlo parlare Nino crea solo pizze semplici che abbina nel modo più classico. In realtà non molti pizzaioli sono riusciti a costruirsi una cultura e una credibilità birraria come lui. Ciò che per lui è naturale per gran parte della categoria è inconcepibile, oppure semplicemente ignoto. In realtà Nino ha investito molto per la propria formazione con il puntiglio tipico degli autodidatti che ammainano la bandiera del metodo per ammantarsi con quella dell’esperienza diretta.
Oggi le sue pizze, una sessantina, spaziano in molte direzioni per riuscire a far fronte alle oltre 350 birre che la sua ben fornita cantina può esibire con legittimo orgoglio. Tra l’altro vi si trovano anche preziosissimi Vintage che Nino stappa in occasioni particolari. La Robin è una delle più gettonate: scamorza affumicata e un altrettanto fumigato prosciutto della Foresta Nera si abbracciano con la mai tramontata Schlenkerla Rauchbier. La Gorgonzola e Noci si abbina alla Rochefort 8, un atto di stampo cardinalizio, sia per la santità della birra, sia per la qualità degli ingredienti della pizza. L’arte di Nino si rivela ancora nella cosiddetta “Caramella”, la cui forma è intuibile. Farcita con Brie de Meaux, noci di Sorrento e mozzarella campana dop, è avvolta ‘come una carezza’ - specifica Nino - dal dolcissimo prosciutto d’Oggiono, che conferisce la dolcezza evocata dal nome ‘caramella’. Per la caramella ovviamente è prevista un’abbinata con una vellutata e abboccata Tripel Val-Dieu.
I viaggi di Nino sono diventati famosi come quelli di Gulliver. Il Nostro da una dozzina d’anni va in giro per l’Europa, soprattutto in Belgio e in Germania, alla caccia di chicche da portare alla sua affezionata schiera di regulars. Spesso birre, ma anche leccornie che finiscono sui piatti dei soliti noti. Ad esempio i formaggi delle abbazie belghe che si sposano santamente con le birre monasteriali fiamminghe e vallone. Ho sentito voci che parlano di una futura santa pizza: Pista Trappista, fatta con pasta di pane (corpo di Cristo), pomodoro (sangue di Cristo), formaggio d’abbazia (astensione dalla carne da parte dei monaci). E forse qualcosa d’altro che l’artista Nino ci imbandirà…
05/12/2011
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