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La pizza di Vincenzo Abbate: cuore nella tradizione, mente sul futuro
Napoletano Doc, nella sua pizzeria di Via Secondigliano, 82 Vincenzo Abbate porta avanti la bandiera della pizza di qualità. All’ultimo Sigep ha mostrato una pizza contemporanea “azzurra”, del tutto naturale (il colore è dato dall’alga spirulina) il cui video ha superato il milione di visualizzazioni sui social, in onore della squadra del cuore. Con il cuore nella tradizione e la mente fantasiosa nel futuro, Vincenzo ci ha rilasciato una bellissima intervista.
Partiamo dalle origini: il tuo primo maestro chi è stato?
«Mio padre Mario Abbate e mio nonno Vincenzo».Padre pizzaiolo, figlio di un pizzaiolo a sua volta?
«Assolutamente. Siamo la terza generazione di pizzaioli, praticamente con le mani in pasta da quando sono ragazzino. Ho iniziato che avevo 10 anni, oggi ne ho 42. Ho vissuto tutta l’evoluzione della pizza e oggi ho creato un mio format, una mia identità che oggi mi dà tanta soddisfazione».
E con una identità che si basa su quali valori?
«I valori tradizionali. Sai, l’odore è fondamentale, quando sei intorno devi sentire l’odore di pizza. Oggi si è perso un pochino questo concetto; anche un prodotto contemporaneo è sempre frutto di tradizione, usiamo sempre quattro ingredienti».
Quindi i famosi cinque sensi, quando si entra in pizzeria da te, si risvegliano tutti…
«A me piace sempre dire che chi viene a mangiare la pizza deve fare un viaggio. Il viaggio può essere positivo o negativo, perché io dico sempre che posso fare la pizza più bella del mondo, però se viene un cliente, mangia la pizza e non gli piace, ci sta! Perché alla fine il gusto rimane molto soggettivo.
Però se il prodotto è fatto davvero con criterio il cliente lo capisce: oltre al cornicione alto, basso, quadrato, storto, a ruota di carro, contemporaneo, l’importante è che abbiamo un prodotto fatto come va fatto».Raccontaci un insegnamento che tu hai preso da tuo padre e che stai tenendo come stella polare del tuo lavoro.
«Allora, un insegnamento che mio padre ha preso da mio nonno è la dedizione a questo lavoro. Mio padre non c’è più, però lui amava quello che faceva e quella passione me l’ha trasmessa. Oggi poi si ha la fortuna di poter fare questo mestiere ad alti livelli.
Ai giovani pizzaioli dico sempre “Ragazzi, prima di tutto lavorate, testa bassa e credete sempre in quello che fate”. Oggigiorno ogni giovane pizzaiolo, ma anche i meno giovani, devono capire che siamo diventati chef a tutti gli effetti, quindi perché non provare a fare qualcosa di diverso e qualcosa di utile per il settore? Io credo che ogni pizzaiolo debba avere la sua identità, la sua chance e il suo prodotto».
Come vivi questa collaborazione con Molini Pizzuti in veste di brand ambassador?
«Con Mariella io mi sento in famiglia. In azienda abbiamo un rapporto bellissimo, ormai sono cinque anni che collaboriamo insieme».
Tu riesci a dare anche un suggerimento sulla messa a punto delle farine, delle miscele. Come scambiate questo vostro know-how?
«Ci interfacciamo perché si va al molino, si testano le farine, si capisce dove potrebbe esserci o non esserci un errore. Si capisce un attimino l’esperimento che dobbiamo fare, facciamo pizze e impasti. E da lì poi capiamo se modificare o non modificare il prodotto.
È importante la capacità di parlarsi e di collaborare. In generale è importante parlarsi, tenersi aggiornati su tutto, fare squadra. Se quella squadra e il prodotto funziona non è merito di una singola persona, ma di tutta la squadra che c’è dietro, la stessa cosa vale in pizzeria, io faccio la pizza, ma non è solo merito mio, è merito di tutta la squadra che c’è attorno. Il valore oggi è questo qua! Sdoganiamo anche il fatto del pizzaiolo individualista, io sono il migliore di tutti. Assolutamente, non esiste più. Io dico sempre: ricordatevi una cosa, una singola persona non fa rumore, parecchie persone insieme, una squadra, un team, fanno rumore».
Articolo tratto da Pizza&core Collection N 123
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