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Tasse, norme e corsi: una jungla di costi

luigi-furini.jpgA proposito di balzelli, norme e tasse Pizza&core intervista Luigi Furini, giornalista e autore tra gli altri del libro “Volevo solo vendere la pizza. Le disavventure di un piccolo imprenditore” che tratteggia in modo tragicomico la burocrazia italiana.
Edito da Garzanti il libro è commentato così dal giornalista Marco Travaglio che ne ha curato la prefazione: «Un ritratto del nostro Welfare straccione folgorante e impietoso, politicamente scorrettissimo proprio perché molto più autentico e realistico di qualunque trattato economico. Vivamente consigliato ai politici e ai sindacalisti che vogliono guardarsi allo specchio e uscire dal loro polveroso Jurassic Park.»

Nel tuo libro racconti ironicamente la sequela di corsi che il protagonista deve fare. Che valore hanno?
«I corsi obbligatori per il titolare di un locale sono semplicemente ridicoli. Il corso di primo soccorso ti obbliga a imparare come e quando soccorrere un ferito dentro il tuo locale. Non ho mai visto nessuno soccorrere un ferito in una pizzeria o in un bar. Anche perché si rischia di peggiorare le cose: la prima cosa da fare è chiamare l’ambulanza o un medico se si trova nelle vicinanze. E poi il corso antincendio (che ti insegna a non gettare benzina sul fuoco) e a coprire la fiamma con una coperta o una tenda o un cappotto. Ma dai!!! Certo, poi questi corsi costano. E sono poco seri perché in Italia abbiamo il triste primato dei morti sul lavoro».

Un nostro abbonato s’è lamentato dei troppi adeguamenti alle nuove normative. Come possiamo rispondergli?
«L’abbonato ha perfettamente ragione, anche perché le normative cambiano in continuazione e tu, una volta “adeguato” rischi di doverti “adeguare” nel giro dei prossimi tre mesi. Certo che servono gli scivoli per disabili e le uscite di sicurezza, ma ditemi una volta per tutte che cosa devo fare e lo farò. Invece le normative cambiano, spesso, da comune a comune e, comunque, dentro la stessa provincia, anche da un’Asl all’altra».

Oggi però i locali aprono come funghi. S’è snellita la burocrazia?
«La burocrazia è aumentata e i bollettini da pagare ci sono sempre. Se i locali nascono come funghi è perché c’è la crisi economica e questo spinge tanti “senza lavoro” a mettersi in proprio per cercare, non dico fortuna, ma almeno un reddito. Nel mio libro spiego che è difficile aprire una pizzeria, ma non dico che è impossibile perché mi darebbero del matto. Però volevo spiegare quali sono i sassolini che, messi nell’ingranaggio, impediscono alla macchina di funzionare».

Quali sono i balzelli e le regole secondo te da eliminare?
«Le regole sono quelle imposte dai corsi (possibile che ti debbano spiegare che la mozzarella va tenuta lontano dal detersivo?). I balzelli sono migliaia. Pensate che si paga una tassa sulle ombre: se uno ha un tenda da sole fuori dal locale (e la tenda è sollevata da terra) paga l’occupazione del suolo pubblico. E poi paga tutte le addizionali di questo mondo sulle bollette di luce e gas. E poi paga la Siae e i Fonografici (prima si pagava solo la Siae). I fonografici sono quelli che lavorano alla produzione dei dischi (o dei CD)».

Il tuo protagonista si trova a dover fare i conti con “lavoratori” poco seri e con i sindacati iperprotettivi. Non mi sembra che adesso però i lavoratori se la passino bene…
«I lavoratori iperprotetti ci sono ancora. L’Italia, in questo caso, è divisa in due: chi è iperprotetto perché lavora nel pubblico impiego, perché è riuscito a imbucarsi, ecc.. E l’altra metà con contratti atipici, co.co.co, a progetto, a chiamata. E allora non si può trovare una via di mezzo? Un contratto più uguale e più giusto, che faccia lavorare di meno quelli che ora sono sfruttati e faccia lavorare di più quelli che si sono imboscati? Ecco, la politica in questi anni ha trascurato fortemente il tema del lavoro, finché ci siamo ritrovati in questa jungla dalla quale è difficile uscire».

Continua il “lavoro a nero”: secondo te qual è la vera causa della persistenza del lavoro non dichiarato?
«Il lavoro nero è una piaga terribile. A parte il malcostume italiano (difficile da debellare), c’è il problema del cuneo fiscale, cioè la differenza fra il netto in busta e quanto deve spendere il datore di lavoro (a volte più del doppio di quanto percepito dal dipendente). Dunque il “padrone” paga tanto e il lavoratore prende poco. E qui, capirete, non è difficile pensare che a volte i due si possano anche mettere d’accordo, nel versare un po’ di stipendio in bianco e un po’ in nero».

Che differenza c’è fra aprire un locale ieri e aprirlo oggi?
«Un locale è più difficile mantenerlo in vita che aprirlo. Ad aprirlo, con un po’ di sforzo e tanta pazienza, ce la fai. Ma mantenerlo in vita, con tutti i costi che ci sono, è davvero difficile. Soprattutto in questa fase di crisi economica, mandare avanti un locale è durissima. Ecco, la differenza fa la crisi, nel senso che io credo che sia diminuito quello che i commercianti chiamano il “cassetto”, cioè l’incasso giornaliero; il lavoratore di una pizzeria, specie se titolare, fa 14 ore al giorno. Magari guadagna, ma fa una vita infame, e a volte fa una vita infame anche senza guadagnare».


25/08/2011

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